Seconda Domenica di Quaresima.
Improvvisamente una brillante nube li coprì con la sua ombra e dalla nube venne una voce (Matteo 17, 1-99).
In primo luogo devo aggiornarvi sul mio livello di apprendimento riguardo pecore e capre. Il mio insegnante sull’argomento che, se vi ricordate, mi ha corretto la scorsa settimana, mi ha dato un’altra informazione significativa. Ogni animale appartiene a una specie diversa ma appartiene alla stessa famiglia, ordine e classe. Le radici del bene e del male sono intricate. Nella prima lettura della liturgia di oggi vediamo che ad Abramo fu comandato da Dio: “lascia il tuo paese, la tua famiglia, e la casa del padre” per una terra che Dio stesso gli mostrerà. Generazioni di monaci celtici lo hanno fatto. Abramo che fece quanto gli era stato detto è il “padre nella fede” di ebrei, cristiani e musulmani, ma è anche un esempio per tutte le fedi di come può essere la reazione umana al mistero ultimo della esistenza.
Abramo esemplifica il distacco totale e semplice in obbedienza a un’intuizione che ci trasforma anche se non può essere compresa fino in fondo. Esemplifica la metanoia in un solo passaggio, che richiede anche una vita di meditazione e di cercare di trattare gli altri come vorremmo che ci trattassero (anche e soprattutto quando non ci trattano in quel modo). Contemplazione e azione, meditazione e servizio. Nel nostro modo lento e incerto impariamo da coloro che in un solo balzo arrivarono verso la luce.
La foto di questa settimana viene dai lunghi e ampi corridoi del Monastero di Monte Oliveto. Un giorno stavo lasciando la mia stanza per la conferenza mattutina durante il ritiro WCCM che teniamo lì ogni anno, quando incontrai un vecchio monaco che faceva la sua lenta, solitaria passeggiata su e giù per i lucidi pavimenti del corridoio. Mi salutò con un gentile sorriso riconoscente. Parlammo per un poco. Non voleva parlare della sua salute come molte persone anziane comprensibilmente fanno, ma chiese notizie dei meditatori provenienti da tutto il mondo che aveva visto in chiesa. Quando ci separammo, mi volsi e lo vidi camminare diritto nella luce. Morì poco dopo, trasfigurato nella luminosità che già riluceva in lui come avevo avuto la fortuna di vedere negli ultimi giorni della sua vita. Nel resoconto che Matteo fa della trasfigurazione Gesù porta i discepoli più vicini a lui in cima a una montagna dopo avergli rivelato l’oscuro destino che lo attendeva. Sulla montagna si rivela come il nuovo Mosé e come il compimento della tradizione profetica. Tutto è luce. “Il suo volto riluceva come il sole”. Pietro sente di dover dire qualcosa e si offre per costruire tre tende. Oggi avrebbe detto a Gesù “Rimani fermo un momento che faccio una foto”. La gente non crede che un evento si è avverato e che sono stati in un certo luogo se non fano un selfie.
Ma c’è oscurità anche sul monte della Trasfigurazione. Una nuvola luminosa li avvolge tutti, coprendoli con la sua ombra. La luce più brillante, le cose migliori della nostra vita, possono proiettare l’ombra più scura quando qualcosa, come una macchina fotografica o un pensiero autocosciente, si frappone.
Tutto ciò che chiamiamo o descriviamo come “esperienza” è in realtà già diventato un ricordo soggetto alle debolezze e agli inganni della nostra mente. Mentre scendono dalla montagna Gesù dice loro di non raccontare a nessuno dell’esperienza dell’illuminazione fino a dopo la Risurrezione, quando la Mente trasparente di Cristo diffonderà una luce su tutto.