Giovedì della Seconda Settimana di Quaresima
Persino nel nostro mondo caotico la contemplazione non è scomparsa. Non la si potrà mai perdere del tutto perché, proprio come la bellezza e la speranza, è un desiderio assoluto e un bisogno inestinguibile nel cuore umano. Ciò che cambia da un periodo storico all’altro è il modo in cui intendiamo la contemplazione, la sua natura, il suo scopo e il modo in cui la coltiviamo. La contemplazione brilla di luce propria, e grazie ad essa possiamo percepirla per quello che è.
In un’epoca di fede, la contemplazione è concepita come la porta per stabilire l’unione indivisa con Dio. Nel nostro viaggio verso l’unità con la fonte, fondamento e meta del nostro essere, ci risvegliamo anche alla nostra unione essenziale con tutti gli altri esseri e tutte gli aspetti della natura, anche quelli con cui siamo in conflitto. Al contrario, in un’epoca basata sul materialismo e sul consumismo, la contemplazione è ridotta a un’esperienza privata, persino mercificata alla stregua di un prodotto qualsiasi con il cartellino del prezzo. Ciò che si acquista con una contemplazione commerciale di questo tipo può, dopo tutto, essere ancora positivo per quel che è, ad esempio la riduzione dello stress e dell’ansia, o il miglioramento del sonno e della salute, ma è pur sempre una merce se paragonata con ciò per cui le tradizioni contemplative ci chiamano a meditare.
Una differenza importante tra questi due approcci è nella comprensione dei benefici che la meditazione reca agli altri, vicini e lontani. Ogni atteggiamento materialistico ci fa precipitare in una mentalità narcisistica, fatta di terribili punti ciechi e dove finiamo per concentrarci per lo più sul “quanto ci guadagno”. Questo limita fortemente ciò che effettivamente raggiungiamo, perché il materialismo inibisce l’attenzione pura e centrata sull’altro che ci porta alla trascendenza. La peculiarità principale del narcisismo è che la vittima non sa di essere narcisista, proprio come un gatto che ti salta in grembo per accovacciarsi e ti infila involontariamente gli artigli nella gamba senza sapere di farti male. L’ essere così ripiegati su noi stessi fa sì che il nostro livello di empatia verso gli altri si riduca sempre di più.
Se al contrario vi accostate al lavoro contemplativo quotidiano con una mente aperta alla sua dimensione e al suo scopo più profondi, con un sentimento di mistero, senza la mira di un vantaggio, allora la meditazione apparirà totalmente diversa. L’ approccio e la pratica saranno diversi. La Nube della non Conoscenza suggerisce che dovremmo occuparci della salute e del nostro benessere per poter meditare. È più difficile farlo quando si ha la febbre o si sta male. Questo è esattamente l’opposto della meditazione fatta con lo scopo di sentirsi meglio a breve termine. Giuliana di Norwich dice che “la preghiera non è un’occupazione oziosa. È uno strumento molto potente del nostro lavoro e del nostro amore”. In tal senso, ogni meditazione diventa un giusto lavoro, che fa emergere il meglio di voi e reca benefici agli altri.
La rete dell’esistenza di Indra è un simbolo di connessione universale in cui tutto è congiunto e ogni punto di incontro è un gioiello unico che riflette l’insieme a cui appartiene. È proprio così ed è quindi solo con la pratica, la pratica e solo la pratica che ognuno arriva a concepire se stesso in relazione con gli altri. Una visione completamente diversa della realtà e del mondo umano da quella dell’individuo collassato su se stesso. Gli apostoli stavano rammendando le loro reti quando Gesù passò e li chiamò a seguirli. Così siamo noi, persino nella nostra meditazione distratta di ogni giorno.