Venerdì della prima settimana di Quaresima – 23 febbraio 2024
Anna Karenina incontra per la prima volta il conte Vronskij alla stazione ferroviaria di Mosca dove, alla fine del romanzo, disperata e piena di vergogna per quanto accaduto da quel primo incontro, finirà la sua vita gettandosi sotto un treno. In quel primo momento del loro incontro provano reciprocamente un’attrazione travolgente che nessuno dei due riuscirà a reprimere ma il condizionamento sociale provoca in loro un iniziale autocontrollo. Anche Tolstoj, il loro creatore, dà ad Anna un inquietante presentimento di una tragedia imminente, ma l’eccitazione e la dolcezza della loro attrazione lo allontana. Più tardi, quando si incontrano ad un ballo, tutta la forza della loro passione viene liberata e, indifferenti a ciò che gli altri stanno osservando, scoprono e parlano il linguaggio unico dell’amore che gli amanti condividono.
Il linguaggio dell’amore ha uno spettro illimitato di dialetti, accenti e vocaboli, non solo nella forma dell’eros, come scoprono Anna e Vronskij, ma anche nell’amicizia. Facciamo molte conoscenze nella vita, fugaci o a lungo termine. Ognuno è unico, ma potremmo apprezzarne o ricordarne alcuni più di altri. Il linguaggio dell’amore condiviso non è unico tra tutti. Tra i futuri amici, tuttavia, può esserci anche questa scintilla di connessione immediata di simpatia e attrazione che porta a condividere un linguaggio unico sia dall’amore che dalla vera amicizia. Un giornalista mi ha raccontato una volta di come ha incontrato una figura politica che doveva intervistare e fin dai primi momenti del loro scambio ha riconosciuto nell’arguzia e nell’umorismo estroverso qualcosa in commune tra di loro, il primo segno di un linguaggio d’amore comune unico e condiviso e così sono diventati amici per vita.
La speranza di cui parlavo ieri richiede che riconosciamo il linguaggio unico dell’amore di Dio: amico e amante, di qualcuno che non incontriamo per la prima volta perché non siamo mai stati lontani da lui anche se non lo abbiamo conosciuto. Gregorio di Nazianzo nel IV secolo descrive il risveglio mistico di questa relazione che scopriamo quando diventiamo consapevoli del linguaggio d’amore e di bellezza di Dio evidente ovunque intorno a noi: “il mondo visibile intorno a noi”,
la bellezza del cielo, il sole nel suo corso, il cerchio della luna, il numero infinito delle stelle, con la loro armonia e ordine, come la musica di un’arpa? Chi ti ha benedetto con la pioggia, con l’arte dell’agricoltura, con i cibi dai sapori diversi, con l’architettura, con le case, con le leggi, con le cose, con una vita umana e culturale, con l’amicizia e la facile familiarità della parentela?
In un’epoca di paura e pessimismo, questa ebbrezza per la bellezza del mondo e dell’umanità sembra inaccessibile. Il IV secolo, tuttavia, non fu un’età dell’oro: la fine della sicurezza di un impero, l’invasione dei barbari, il grande divorzio tra il cristianesimo orientale e quello occidentale, il matrimonio corruttore tra Chiesa e Stato e un disastro ambientale, uno dei terremoti naturali più devastanti della storia. Come scrisse Jane Austen in una lettera alla sorella, non amiamo meno un luogo perché lì abbiamo sofferto. Un giorno Etty Hillesum, mentre correva tra gruppi di ebrei in attesa di essere trasportati, fu fermata dalla vista di un fiore primaverile che cresceva in una fessura del marciapiede.
Gregorio scopre anche una caratteristica unica di questo linguaggio dell’amore divino che sfida tutto ciò che consideriamo amore e che esamineremo domani.