Il nuovo genere di vita reso possibile dalla resurrezione non si basa sulla prova legale del sepolcro vuoto e sulla prova presunta delle apparizioni. Le prove si trovano nella vita quotidiana… Come l’amore, la fede nella resurrezione ha una propria ragionevolezza ed una propria qualità dell’essere che viene colta piuttosto che insegnata. Le esperienze, perfino le apparizioni della resurrezione, vanno e vengono.
Diventano ricordi. Noi, invece, conosciamo la risurrezione in quello che i primi discepoli chiamavano il “Giorno di Cristo”. È il momento presente illuminato dalla capacità della fede di vedere l’invisibile, di riconoscere ciò che è troppo ovvio. Come ha scritto Simone Weil:
“Egli viene a noi senza rivelarsi e la nostra salvezza consiste nel saperlo riconoscere.”
La domanda rivolta da Gesù [“Chi dite che io sia?”] è il dono che il rabbunì fa a noi: il fatto stesso di formularla concede la “grazia del guru”.
In ogni epoca, la sua domanda è il dono che attende di essere ricevuto. Il suo potere è semplicemente quello di risvegliare perennemente la conoscenza del Sé nella nostra stessa esperienza della Risurrezione. San Tommaso usa il presente quando parla della Risurrezione. Si può intendere che stia dicendo che la Resurrezione. . . trascende tutte le categorie dello spazio e del tempo. Allo stesso modo, le icone della resurrezione nella tradizione ortodossa suggeriscono la medesima trascendenza e mostrano come il potere che ha fatto risorgere Gesù sia attivo ora e sempre.
L’opera essenziale di un maestro spirituale è soltanto questa: non dirci cosa fare, ma aiutarci a vedere chi siamo. Il sé che noi giungiamo a conoscere attraverso la sua grazia non è un piccolo e isolato ego-sé che si aggrappa ai propri ricordi, ai propri desideri, alle proprie paure. È un campo di coscienza simile e indivisibile dalla Coscienza che è allo stesso tempo il Dio cosmico e biblico: l’unico grande IO SONO
Brano tratto da Laurence Freeman OSB, “Gesù, il maestro interiore”, Edizioni Dehoniane Bologna, pp. 78-79.