Il viaggio della meditazione (seconda parte)
La scorsa settimana abbiamo parlato di cosa potrebbe accaderci durante il nostro viaggio nella meditazione. Iniziamo con entusiasmo, il nostro impegno per la pratica quotidiana cresce, ma con il tempo incontriamo inevitabilmente il “demone della acedia”, come i Padri e le Madri del deserto chiamavano questo stato emotivo. Iniziamo a sentirci annoiati e irrequieti; ci sentiamo come se stessimo entrando nel deserto interiore. Thomas Merton, parlando di questa esperienza del “deserto”, disse: “Solo quando siamo in grado di ‘lasciar andare’ tutto ciò che è in noi, tutto il desiderio di vedere, conoscere, gustare e sperimentare la consolazione di Dio, solo allora siamo davvero in grado di provare la Sua presenza. ”
Dunque questo viaggio richiede di “lasciar andare”, e in questo modo, questa “esperienza di deserto” è purificante. È una sfida a superare il nostro egocentrismo e a meditare senza ricompensa, senza sapere dove lo Spirito ci sta guidando, per meditare anche quando siamo assaliti da queste profonde distrazioni. Finché continueremo a perseverare e ad aderire fedelmente alla nostra pratica al di là di tutto, alla fine, supereremo ogni resistenza e saremo condotti, purificati e rafforzati alla vera conoscenza del sé. In questo modo anche il deserto è la nostra via verso la Terra Promessa, perché come dice il padre del deserto Evagrio: “dopo il demone dell’acedia non fa seguito nessun altro demone, ma solo uno stato di profonda pace e gioia inesprimibile che scaturisce da questa lotta”.
I Padri e le Madri del Deserto chiamavano “apatheia” questa profonda pace e gioia inesprimibile, una profonda calma imperturbabile, un’anima veramente guarita. Essi sapevano che “apatheia” o “purezza di cuore” era il prerequisito per entrare nel “Regno di Dio”, trovarsi alla presenza di Dio. “Quello che i padri cercavano più di tutto era il loro vero sé in Cristo. E per fare questo, dovevano respingere completamente quello falso e formale, auto-costruito sotto la pressione sociale nel “mondo”. “(Thomas Merton)
Quindi, il nostro “vero sé in Cristo” risplende quando il flusso dei pensieri e dei sentimenti è stato placato, quando le maschere dell’ego e le false immagini del sé sono cadute e le emozioni sono state purificate. Allora ci conosciamo come “figli di Dio”, creati ad “immagine e somiglianza” di Dio. Questa calma, questa beatitudine, questa pace e questa gioia sono allo stesso tempo perfetta consapevolezza, vigile allerta. Così siamo “pienamente vivi”.
Da lì scorre lo stadio finale di “agape”, la più alta esperienza di tutte, quella di unità con l’amore universale, incondizionato di Dio. Il mondo conoscibile delle forme e tutti i concetti della mente sono trascesi. Noi intuitivamente sappiamo che “Dio è senza quantità e senza tutte le forme esteriori” e “vediamo con meraviglia la luce del nostro stesso spirito, e percepiamo quella luce come qualcosa che va al di là del nostro spirito e tuttavia ne è la fonte” (John Main). Abbiamo superato tutte le divisioni. Sappiamo che il nostro spirito è tutt’uno con lo Spirito. Siamo entrati nel flusso d’amore tra il Creatore e il creato. Siamo tornati a casa.
“L’uomo deve prima ritrovare stesso perché, facendo di se stesso un trampolino di lancio, possa poi innalzarsi ed essere sostenuto fino a Dio” (Sant’Agostino).
Kim Nataraja