Carissimi amici,
stiamo cominciando a percepire quanto la pandemia di covid abbia fortemente segnato, come uno spartiacque, tutto il nostro mondo. Ci ha fatto diventare timorosi di uscire di casa, spingendoci ad isolarci nella nostra ‘comfort zone’ di una realtà virtuale basata su zoom. Ha scosso la nostra fiducia in una vera autorità. Per molti ha causato un ingannevole isolamento che ha peggiorato l’epidemia di solitudine già presente che soltanto l’interiorità, vera solitudine in unione con gli altri, può sanare.
Eppure (attenti alle spiegazioni semplicistiche) allo stesso tempo e mentre teneva chiuse a casa le persone, ha agevolato molti nella ricerca più profonda di uno spazio interiore di contemplazione. Il programma on line della nostra comunità è nato proprio durante il covid come “un percorso contemplativo attraverso la crisi”.
Nei primi mesi ho notato un volto familiare presente a quasi tutti gli incontri on line. Quando più tardi ho parlato con i partecipanti questa persona mi ha detto della profonda conversione personale che aveva vissuto nel periodo di chiusura totale. Ad ogni incontro il processo si approfondiva. Mentre ascoltavo potevo notare i segni di questo intimo cambiamento: una più ampia apertura mentale e un atteggiamento più delicato, un senso di umiltà per quello che succedeva, una nuova tenerezza.
E’ lo stesso messaggio per tutti ma ognuno ha il suo modo di reagire. Come lo studente di economia, col quale parlavo di come imparare a meditare, che mi ha insegnato che il cammino della vera metanoia non è sempre tanto facile. Aveva iniziato una pratica di meditazione quotidiana, una volta al giorno. Gli avevo chiesto cosa pensava del “lavoro del mantra”. E mi aveva risposto “beh penso che è giusto e mi attira. Ma è difficile”. Poi gli ho domandato cosa faceva quando lo trovava difficile: mi ha risposto che si metteva le cuffie e seguiva una meditazione guidata o una musica dolce. Ma era pronto a discutere su questo punto e alla fine mi sembrò contento e grato di ascoltare ciò che io o ogni meditante con un po’ di esperienza gli potevamo suggerire: resta con il mantra delicatamente e fedelmente e togliti le cuffie.
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Credetemi. Anche con il mantra, meditare all’aperto, sotto il sole rovente, in mezzo a centinaia di giovani, con quelli più vicini che cantano “happy birthday” in tutte le lingue al massimo volume, è una sfida. E’ stata un’idea follemente saggia nata fra ventidue giovani adulti meditanti (dall’Indonesia al Messico) con i quali ho partecipato un mese fa alla Giornata Mondiale della Gioventù. Ci siamo seduti per terra in cerchio sperando di essere un segno con il nostro “flash mob per la meditazione”. Cosa voleva dire ? Che non c’è bisogno di solennità o di chiesa per entrare nella propria stanza interiore della contemplazione; che la meditazione fa parte della vita come le feste di compleanno, i viaggi e l’incontro con persone nuove.
L’unitarietà del nostro piccolo gruppo era in sintonia e ha dato testimonianza, così speravamo, alla folla chiassosa intorno a noi. Tutti insieme il milione e mezzo di giovani cristiani venuti da duecento paesi diversi rappresentavano riccamente la caotica cattolicità della chiesa, un ampio spettro di individui, comunità e tipi di teologia. Chiunque pensi che la chiesa possa costringere a credenze e pratiche standard farebbe bene a leggere gli Atti degli Apostoli e venire al prossimo incontro della gioventù a Seoul. Non dico che fosse già la Gerusalemme celeste – spesso più simile a quella terrena ma su scala globale. Ma mentre le ondate gioiose di giovani mescolati gli uni con gli altri fluivano nelle strade di Lisbona, la domanda che mi ponevo era “qual’ è l’essenza di questa esperienza di unitarietà ?” Non una squadra di calcio o una rock star. E nemmeno una scelta teologica. Non è facile determinare la sorgente di una tale unità. E’ oltre l’orizzonte del nostro campo visivo. Ma allora mi sono ricordato di Wittgenstein, il filosofo del semplice-difficile-da-comprendere. Diceva che per capire tutte le credenze e i comportamenti umani, dobbiamo considerare la distinzione vitale fra “ciò che si può e ciò che non si può esprimere, ma può solo esser mostrato”. Per quelli che avevano occhi per vedere ed orecchie per sentire, a momenti con gran fracasso ed altre volte in silenzio – questa unità si mostrava davvero.
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Non riuscivo a pensare ad una manifestazione politica o ad un evento sportivo che potesse unire così tante persone su così vasta scala. Se solo la chiesa potesse vivere meglio questa immanente unitarietà nella vita quotidiana; e i media fossero più obiettivi nel dare notizia di questa eccezionale specie di celebrazione inter-culturale e di come mette in evidenza il potenziale umano.
Certamente tutto l’evento è stato una moltitudine flash di un milione e più di persone non qualcosa che si possa confondere con la sfida della normalità. Eppure per la sua breve settimana di super vitalità e malgrado la sua rilevanza, era su scala umana. I giovani meditanti erano un gruppo umano diverso, abbastanza piccolo per poter riconoscere ed abbracciare le grandi differenze fra di noi, individualmente, linguisticamente e culturalmente, da un consulente finanziario a uno studente di teologia. Ed era un gruppo abbastanza sincero e autentico da aprire gli occhi del cuore ad una personale presenza misteriosa che si poteva vedere ma non fotografare e che era la sorgente della nostra unità ben al di là dei nostri orizzonti, l’amico comune della nostra amicizia.
Il nostro amico comune, Gesù, ci ha fatto vedere che l’unità non è uniformità. Non può esser chiusa in una scatola in cui una forza esterna possa sopprimerla o reprimere, controllare o dominare. La lunga storia di oppressione sociale o individuale evidenzia la resilienza dell’unitarietà umana nella libertà. Questa fonte sostanzialmente irreprimibile di unità è sempre nemica di forze oppressive. D’altra parte , l’oscura fantasia di Orwell in “1984” o la profezia di Simone Weil di una “burocrazia totalitaria” sembrano ancora più reali oggi nella sorveglianza di massa e nelle spietate forze dell’ordine in Cina o nei segreti parassiti dei mass media. Forze anonime guidate dalla bramosia di potere possono solo umiliare la nostra sacra libertà umana e la divina universalità se le lasciamo agire.
Nel suo perverso uso di scienza, tecnologia e mass media, il linguaggio della comunicazione di massa è solo falsità e idiozie, l’assurda negazione dell’evidenza, che pochi osano denunciare. La verità viene contorta in realtà alternative, la pace diventa il risultato di aggressioni, la giustizia è tradita nel conflitto di interessi speciali, l’amore si riduce a desiderio, la conversazione a un chiasso da giungla. Senza difesa della realtà, per la quale la mente contemplativa è disposta a sacrificare se stessa, le migliori invenzioni della mente umana sono schiave al servizio del dio mammona e del nazionalismo. L’immaginazione creativa è posseduta dal demone dell’orgoglio nel congegnare mezzi di distruzione di massa più clinici; forme di “comunicazione” sono deliberatamente progettate per oscurare, creare dipendenza e radicalizzare; le scienze della terra in grado di risolvere le crisi da noi stessi provocate sono usate in modo improprio per sfruttare le restanti limitate risorse della biosfera; e l’economia, capace di raggiungere una più equa distribuzione dei beni, allarga il divario tra ricchi e poveri e ci allontana tutti dalla nostra casa comune su questo fragile pianeta.
Il nostro amico comune, Gesù, ci ha fatto vedere che l’unità non è uniformità.
E’ facile stilare oggi una retorica lista dei nostri problemi. Eppure, una volta che abbiamo individuato il punto essenziale e siamo pronti a porci interrogativi su come cambiare – le nostre vite o il destino dell’umanità – dovremmo sospendere l’analisi e porre la domanda salvifica che dà inizio al reale cambio di direzione. Il primo passo trasformativo di ripresa è chiedersi: “cosa posso fare io?” Quelli che se ne andarono nelle zone disabitate della Giudea alla ricerca di un profeta domandavano a Giovanni Battista :”Cosa dobbiamo fare ?” Cassiano e Germano chiedevano al loro maestro del deserto “dacci una pratica”.
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Ci sono molte arti nell’arte della preghiera. Praticate in buona fede non si escludono l’una l’altra. Come i diversi strumenti in un’orchestra, anche se sembrano usare modi diversi, tutti portano all’unica preghiera dello Spirito.
C’è l’arte del silenzio, la grande povertà di spirito come la chiamava Cassiano, che ha formato e rinnova la nostra comunità. Raggiungiamo questa povertà, la prima Beatitudine, attraverso la “rinuncia a tutte le ricchezze di pensiero e di immaginativa”. E’ il modo fondamentale di interpretare la preghiera in tutta la tradizione del deserto: “lasciare da parte i pensieri”. L’abbiamo condivisa a Lisbona con molti dei giovani pellegrini che apparivano desiderosi di spazi di silenzio e quiete soprattutto in mezzo alle incessanti attività e al chiasso. Ma un’altra arte di preghiera , la lettura delle scritture, che al contrario usa parole e immaginazione, si intreccia in modo arricchente con il silenzio e l’immobilità della mente. Abbiamo bisogno di entrambi come un aereo ha bisogno delle due ali per mantenere la rotta.
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Quando ripetere il mantra diventa difficile, i meditanti che hanno appreso la loro arte resistono alla tentazione di mettersi le cuffie. Anche se abbiamo un sensazione di insuccesso possiamo abbracciare e godere il lavoro della parola “nella gioia e nel dolore”, e imparare cosa vuol dire trasformare la vita in un pellegrinaggio, facendoci pellegrini in ogni cosa. Allora nel nostro cammino quotidiano ogni passo ci gioverà, anche quelli all’indietro, nell’accogliere l’amicizia degli altri e le tante pratiche e sorprese che arricchiscono il percorso.
Una delle più rinvigorenti di queste pratiche complementari è l’arte di leggere i testi sapienziali in modo da permettere loro di leggerci, trasformare le nostre prospettive di vita e svelarci che il sacro è dovunque. Man mano che impariamo a leggere così, in un modo delicato e spesso impercettibile questi testi nell’arco della giornata emergono nei nostri pensieri, discorsi e ricordi. Come amici, compagni e maestri diventano fonti inesauribili di saggezza.
Ho appena dato inizio ad una serie di incontri on line dal titolo “Fra le righe : come leggere la Bibbia ed altri Testi Sacri”. Leggere nel modo in cui dovrebbero esser approcciati i testi sacri così da farci scoprire i tesori nascosti è una di quelle rare cose di gran valore: qualcosa che è buona in sé: ogni volta nuova, ci svela nuove meraviglie di consapevolezza, che sempre ricaricano la mente o lo spirito quando siamo giù di morale mentre ci preparano a ritornare alla meditazione e all’essenziale lavoro di povertà.
La saggezza di grandi testi come la Bibbia si intreccia, si fonde e si sovrappone con quella di altre tradizioni. La sapienza è un linguaggio di rivelazione con molti dialetti, molte lingue. Seguendo queste tracce con pazienza e attenzione capiamo di essere già membri di una grande famiglia di saggezza, più grande di quanto non si possa immaginare. Abbiamo sempre molti più famigliari di quanti pensiamo e più li scopriamo più facciamo esperienza dei legami sconfinati con i vivi e con i morti, con quelli lontani e quelli vicini, i lontani che ricordiamo e quelli persi nella memoria. Tutta l’umanità appartiene alla famiglia della saggezza che si esprime nella grande scrittura tramandata da millenni. Come in una grande riunione di famiglia che mette insieme generazioni e culture diverse, le diverse parti del gruppo come ogni individuo provano un arricchimento di identità nel celebrare nell’unità tutte le nostre differenze. Ogniqualvolta leggiamo un testo sacro – non tanto un commentario ma il testo originale – celebriamo quell’unità.
Ma per molti fedeli e seguaci di altre fedi, la scrittura è solo ascoltata biascicata dal leggio e poi predicata dal pulpito, di solito in senso moralistico piuttosto che mistico. Senza un ascolto attento non c’è ascolto trasformante e senza ascolto il muscolo dell’attenzione si atrofizza come succede ai nostri giorni di distrazione. E’ necessaria una conoscenza di base dei testi e delle tradizioni: meno della metà di coloro che si dichiarano cristiani negli Stati Uniti non sanno i nomi dei quattro evangelisti. Per una mente disattenta le parole borbottate e super predicate diventano un guazzabuglio. Gli spazi vuoti fra le righe che ci offrono la possibilità di espanderci e di volare alto sono spesso pieni di slogan e il sacro diventa immediatamente il politico.
Parole che crediamo di conoscere entrano da un orecchio e escono all’altro senza mai risvegliare la mente con la grande sorpresa che sorge dal riconoscere nuove realtà. Kafka ha descritto la vera lettura come “una scure che infrange il mare ghiacciato che è in noi”.
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Molti, soprattutto nelle generazioni più giovani, trovano non solo i testi sacri ma qualsiasi forma di lettura sconosciuta e terrificante. Li fa sentire isolati. Una studentessa una volta mi ha detto che preferiva studiare al computer in un caffè rumoroso perché trovava inquietante il silenzio della biblioteca. Un altro mi ha detto di ricavare la maggior parte delle sue conoscenze da YouTube e di non leggere quasi mai da una pagina concreta. Ma dopo aver iniziato a meditare, poco a poco era stato attratto per la prima volta dalla lettura di un libro. Ha descritto in modo molto chiaro la sua percezione della differenza fra parola ed immagine. YouTube era più semplice, più passivo, ma non gli restavano bene impressi i suoi contenuti. La lettura era più difficoltosa ma offriva per così dire la sorpresa di “incontrare un’altra mente”. Quello che leggeva si inseriva nella sua memoria a lungo termine. Ricorda quello che san Bernardo voleva dire quando parlava della ”parola fatta carne” quando facciamo attenzione ad essa con amore e la facciamo scorrere dalla consapevolezza mentale a quella del cuore.
San Benedetto ha fatto della lettura quotidiana uno dei tre pilastri della vita monastica. E ne prevedeva un’ora in più durante la quaresima. Ciò è davvero sorprendente perché i livelli di alfabetizzazione nel VI secolo erano molto bassi, tanto che molti potevano imparare a leggere solo quando imparavano a seguire la vita monastica. Faceva parte del loro apprendimento della preghiera. D’altra parte, sembrava supporre che tutti i monaci potessero – in effetti dovessero – leggere ; e, come molti abati dopo di lui, li esortava a fare della lettura una pratica impegnativa e regolare. Oggi molti monaci in comunità contemplative che usano continuamente la posta elettronica si sforzano di “trovare tempo per leggere”; proprio come i loro omologhi impegnati in lavori più mondani.
E perché questa enfasi sulla lettura nella tradizione contemplativa ? Non per farci diventare studiosi o per vincere qualche quiz o per superare gli esami. Ma perché il processo di un’attenta lettura fa luce sulla nostra interiorità e ci invita ad entrare nella nostra stanza interiore. La lettura è benefica per tutti perché l’attenzione richiesta ci porta all’immobilità e quindi ad una mente più chiara e meno centrata su se stessa. Per i contemplativi è parte essenziale della vita. Tutti i bambini hanno bisogno di imparare a leggere. Come contemplativi dobbiamo imparare a leggere in questo modo. Un po’ di esercizio è d’aiuto per affrontare scritture e testi sapienziali in modo da trasformarci. Mi auguro che il mio corso possa aiutare le persone a scoprirlo in prima persona perché in questo apprendimento, come in ogni tipo di apprendimento, l’esperienza è maestra.
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L’arte della lettura è la prima fase dell’arte della preghiera stessa perché come preghiera pura, la “lectio” mi aiuta a distogliere da me stesso l’attenzione e a capire che l’essenza della pura preghiera è attenzione incentrata sull’altro..
Questo tipo di lettura non è per svago o per avere notizie. E’ un allenamento mentale e un arricchimento nella conoscenza di sé. E’ un viaggio di scoperta che si espande per mostrare come tutte le relazioni della vita quotidiana – quelle di cui godiamo o in cui troviamo difficoltà o semplicemente sogniamo che possano capitare un giorno o l’altro – ci guideranno verso spazi più ampi e interiori. Leggere ci fa conoscere meglio la nostra stessa mente e rende più sano il rapporto con noi stessi. Leggere testi sacri o belli vuol dire diventare più limpidi ed onesti con noi stessi perché ci ripagano della nostra attenzione leggendoci a loro volta. Lettura che riflette la nostra mente come specchio che riflette ciò che leggiamo. Ma con i grandi testi vediamo attraverso lo specchio. Attraversiamo la frontiera di linguaggio e immaginazione. Il nostro “rapporto con Dio” è liberato dalla dualità mentre ci incamminiamo verso l’unione con la rete di relazioni che riconciliano il mondo.
In realtà ciò descrive semplicemente il percorso umano stesso. Meditazione, mantenimento di una buona dieta e disciplina nella lettura accanto ad altre pratiche contemplative e impegno al lavoro come servizio, non spiegano ma manifestano il significato di essere umano. Ciò dà sostegno al processo di metanoia lungo tutta una vita, cambia la nostra mente e le nostre logore abitudini e amplia il nostro orizzonte visivo Ciò che vediamo è ciò che diventiamo. In una cultura tossica, fissa sulle immagini, come la nostra, re-imparare l’arte della lettura offre una modalità di ritrovare la capacità di visione – oltre le immagini – propria della mente contemplativa.
(Vi esorto fratelli) ad offrire voi stessi…l’offerta di mente e cuore.
Non conformatevi più a questo mondo ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare per poter discernere ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto. (Romani 12:1-4)
Come si raggiunge questo grado di cambiamento ? La vita è un misto di eventi catastrofici, perdite devastanti, esaltanti celebrazioni e guarigioni profonde. Ma i cambiamenti più intensi si realizzano silenziosamente, lontano dalla vista di tutti, inarrestabili, con una percezione di significato irresistibilmente delicata e generosa. I testi sapienziali come per esempio il Thao Te Ching, ci inducono a capire perché “pace e quiete reggono il mondo” anche quando lo vediamo in tumulto. E in un mondo di programmi traboccanti ci ricordano, come nel salmo 46, “fermatevi e sappiate che Io sono Dio”.
Nella prossima serie di conferenze vorrei anche mostrare come la lettura di questi testi sacri esiga un contatto diretto e non di seconda mano. Leggiamoli con i nostri occhi. Questo rilascia una sorgente di gioia che oggi viene spesso bloccata per i contemporanei dato che l’esperienza personale è in tanti momenti monitorata ed esternalizzata. Per imparare a leggere in questo modo dobbiamo essere indotti ad allontanarci dagli schermi. Il richiamo è semplicemente ciò che ci da gioia e ci insegna a preferire il reale e non impacchettato alle imitazioni.
La meditazione e i luoghi, come Bonnevaux, dove la meditazione è pratica quotidiana sono ben più che una via di fuga dai problemi del mondo. Essi ci rivelano per quanto umanamente possibile, il sacrificio dell’attenzione che dobbiamo esercitare verso il reale. Sono molto più che una ricarica di batterie scariche. Sono trasformativi. Il processo di metanoia cominciato con la meditazione comunitaria prosegue a casa e al lavoro. L’esperienza di sé e il nuovo modo di vedere è libero e liberatorio per le persone che prendono il rischio della pratica quotidiana e vivono ogni giorno nella trasformazione. E’ la sfida più importante: fidarsi della cosa più semplice che possiamo trovare.
L’esperienza contemplativa alimentata dalle pratiche gemelle di meditazione e lettura di testi sacri rende tutto più facile. Fa sì che il paradosso della realtà sbocci come un fiore e faccia germogliare i semi che diventano i frutti dello spirito. In modo meraviglioso la meditazione si integra con la vita quotidiana. Tutti i luoghi, come Bonnevaux, dove possiamo scoprire il pellegrinaggio di metanoia e poi ritornarci per ricaricare la nostra pratica diventano un dovunque .
Con grande affetto
Laurence Freeman OSB
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