Essere veramente interiori
C’è sempre stato il grande pericolo – pericolo che esiste in modo particolare oggi, in questa nostra società auto-referenziale e narcisista – di confondere l’interiorità autentica con l’introversione, il fissarsi su noi stessi, l’autoanalisi. Essere realmente interiori è esattamente l’opposto dell’essere introversi. Nella consapevolezza della presenza che ci inabita, avviene un capovolgimento della nostra coscienza, una conversione, così che non guardiamo più… a noi stessi, anticipando o ricordando i nostri sentimenti, reazioni, desideri, idee, o sogni ad occhi aperti. Ci rivolgiamo verso qualcosa d’altro. E questo è sempre difficile per noi.
Pensiamo che sarebbe più facile allontanarci dall’introspezione, se sapessimo esattamente cosa guardare. Se solo ci fosse un oggetto su cui fissare l’attenzione. Se solo Dio potesse essere rappresentato da un’immagine. Ma il vero Dio non può essere un immagine. Le immagini di Dio sono idoli. Costruendo un’immagine di Dio si finisce per osservare una immagine rimessa a nuovo di noi stessi. Essere autenticamente interiori, aprire l’occhio del cuore, significa essere immersi nella visione senza immagini che è la fede, quella visione che ci permette di “vedere Dio”. Nella fede, l’attenzione non è più governata da uno spirito materialista, opportunista e auto-conservativo, ma da uno Spirito Nuovo che è per sua natura, spoliazione. È sempre un lasciare andare ed un continuo rinunciare alle gratificazioni della rinuncia, che sono molto grandi e quindi è ancora più necessario restituirle.
Non c’è una sfida più decisiva che entrare nella esperienza di porre l’attenzione all’altro. È lo stato continuo ed estatico della spoliazione. Lo possiamo intravvedere semplicemente richiamando alla mente quei momenti o fasi della vita in cui abbiamo sperimentato il massimo livello di pace, di pienezza e di gioia, e riconoscere che quelli erano momenti in cui, pur non possedendo alcunché, ci eravam eo persi in qualcosa o qualcuno. Il passaporto per il regno richiede il timbro della povertà.(…)
Brano tratto da Laurence Freeman OSB, “The Power of Attention,” THE SELFLESS SELF (London: DLT, 1989), pp. 31-35. [Il Sè senza un Sè, Amrita Edizioni]