Gregorio di Nissa
La filosofia indiana include fra le altre la dottrina di ‘advaita’ o non dualità. Noi non siamo uno con la realtà ultima, ma non siamo nemmeno solo dualisticamente collegati ad essa. Come capita con tutte le idee, anche questa ha prodotto diverse versioni. Ci sono forme di ‘advaita’ forti e forme deboli. Allo stesso modo la coscienza mistica cristiana – che non è in sé stessa una questione di idee ma dà origine a nuove idee, le più rare delle creazioni – presenta forme deboli e forme forti di teologia apofatica. Questa teologia non rifugge dalla inconoscibilità del mistero di Dio, anzi caldamente l’accoglie. Rispetto al metodo apofatico Gregorio di Nissa (335-395) è il più convinto di tutti. Forse per questo, e per il fatto che non fu tradotto subito in latino, egli ha avuto minore influenza sulla teologia e sulla spiritualità occidentale di quanta non ebbe sulla sua chiesa orientale. Ma il mondo contemporaneo occidentale, stanco di divisioni religiose, trae molti benefici dall’incontro con il suo pensiero.
Cresciuto come gentiluomo di campagna in quella che è oggi la Turchia, Gregorio è uno dei tre grandi Padri della Cappadocia. Suo fratello Basilio e l’amico di Basilio, Gregorio Nazianzeno, erano rispettivamente il politico-legislatore e il poeta-teologo del gruppo. Gregorio di Nissa divenne il filosofo mistico dopo una vita di uomo sposato e un turbolento e piuttosto inefficiente episcopato. Pare che solo dopo la morte di suo fratello abbia trovato la propria strada, sentendosi chiamato a portare avanti l’eredità di Basilio nel difendere il Concilio di Costantinopoli del 381. Per la chiesa delle origini questo fu un importante momento storico nella resistenza all’Arianesimo, la dottrina che considera la divinità di Cristo inferiore a quella del Padre. Si potrebbe pensare che questa lunga battaglia contro un’eresia moderna ancora potente (eresia significa letteralmente un ‘punto di vista scelto’) sia stata una controversia meramente accademica. In realtà riguarda la nostra reale concezione del sé e del senso del potenziale umano. Quel che Gesù è, noi siamo. Si potrebbe pensare anche che la tradizione mistica non avesse molto da dire in questa colta discussione. In realtà nessuno dimostra meglio di Gregorio, nelle opere della seconda metà della sua vita, che la coscienza mistica illumina il mondo delle idee da quella sorgente soprannaturale che plasma i nostri pensieri migliori. La logica dell’esperienza mistica si estende al regno del pensiero e dell’azione e richiede coerenza.
Gregorio segna un distanziamento della mistica cristiana dalla sua tradizione greca. Origene, una mente assolutamente greca, manifesta una forma debole di apofatismo. Egli ama pensare che quando avremo superato il percorso ad ostacoli ascetico e vinto le nostre passioni, vedremo quello che abbiamo desiderato vedere e sapremo quello che abbiamo desiderato sapere. L’idea greca di perfezione è l’innalzarsi al di sopra del mondo mutevole e della mutevole mente e arrivare al regno della divina immobilità. Da lì, seduti su un trono di coscienza, guardiamo giù al mondo mutevole. È una visione che ancora influenza la nostra idea di paradiso e di beatitudine.
Per Gregorio, nel suo trattato Sulla perfezione o nella sua Vita di Mosè, l’ascetica è il mezzo per superare la ‘guerra civile dentro noi stessi’. Dobbiamo combattere il ricordo rabbioso delle ferite sofferte, come i cittadini dell’Irlanda del Nord o dell’Iraq dovranno fare ancora per lungo tempo. Il desiderio deve essere allenato e trasformato per permetterci di vivere in modo consapevole. Possiamo migliorare. Ma la perfezione non è mai il traguardo finale. ‘Il divino è per sua natura infinito, non rinchiuso entro confini.’ Quando il desiderio è purificato nella preghiera non raggiunge una soddisfazione definitiva, ma si intensifica a mano a mano che progrediamo. Non possiamo mai essere soddisfatti di quello che ci viene da Dio.
Per Jean Danielou, uno dei più grandi commentatori di Gregorio, questa linea di interpretazione rappresenta un avanzamento rispetto alla posizione di Origene. La incomprensibilità di Dio, la sua irraggiungibilità genera così la mistica del buio o ‘agnosia’ – all’apparenza l’opposto di gnosis. Ci sono due tipi di oscurità, debole e forte. La prima è espressa in ciò che Gregorio disse del fratello a proposito dell’ombra in cui gli sembrò di sentire che lui stesse: “noi lo vedemmo entrare nel buio dove c’era Dio … egli comprese ciò che era invisibile agli altri.” Questa è un’oscurità accettabile. Siamo confusi ma poi capiamo, ciechi e poi vediamo. Ma c’è un’oscurità più profonda:
“la vera visione e la vera conoscenza di quel che cerchiamo consiste precisamente nel non vedere, nella consapevolezza che il nostro obiettivo trascende ogni conoscenza …”
Perfezione è continuo progresso. L’opinione dei greci circa il cambiamento come un limite viene superata dal continuo progredire del cambiamento in qualcosa di meglio, “da gloria a gloria”. Ogni fine è un nuovo inizio. L’orizzonte si allontana costantemente man mano che ci avviciniamo. La ‘perfezione’ consiste nel non smettere mai di crescere nel bene. Se accettiamo questo, dobbiamo affrontare serie conseguenze, a condizione che desideriamo davvero vivere secondo quel che crediamo. La trascendenza e il paradosso (‘movimento e stabilità sono la stessa cosa ’) diventano valori umani. La coscienza è un universo che si espande. La paura di esser condannati ad una insoddisfazione permanente – una conclusione naturale per chiunque sia cosciente dei cicli del desiderio naturale – diventa ebbrezza di inesauribile beatitudine. Il bene non sembra più monotono e Cristo non è oggetto di idolatria, ma la Via verso il Padre.
Conoscere Dio, nell’esperienza trascendente di sapere che non possiamo conoscere Dio, ci rimanda a noi stessi in un modo nuovo. In tutta la tradizione mistica un tema fondamentale è il legame tra conoscenza di sé stessi e capacità di conoscere Dio. Gregorio colloca la sua antropologia cristiana nell’asserzione biblica che noi siamo ‘icone’ di Dio. Non esiste una divisione gnostica tra il naturale e il sovrannaturale. Gregorio non è attratto dal gioco metafisico tra immagine e somiglianza, come invece sono altri maestri mistici. È un sollievo essere logicamente e teologicamente convinti di essere essenzialmente buoni. La mortalità è la cura del peccato originale, non una punizione; e “la grazia della risurrezione è la reintegrazione dell’essere umano al suo stato originale” di beatitudine.
Gregorio ci somministra una forte dose di ‘agnosia’. All’inizio ha un sapore sgradevole, ma quando siamo riusciti a superarlo, sentiamo il suo effetto guaritore. Paradossalmente il regno umano e il creato si confermano come tali perché non smettiamo di essere umani anche quando siamo in unione con Dio. La speranza è basata sull’idea che ogni fine è un inizio. Il peccato è un rifiuto ad andare avanti. Il termine usato da San Paolo “epektasis” (‘proteso’, Lettera ai Filippesi 3, 13) fornisce a Gregorio una autorevolezza scritturale. Tensione ed espansione, dimenticare cosa abbiamo alle spalle, tendere verso il passo successivo.
Tutto questo influenza radicalmente la preghiera e approfondisce ulteriormente la nozione di Origene sulla purezza. Gregorio ci aiuta a capire perché possiamo smettere di pensare a Dio, e in effetti ne abbiamo bisogno, per poter entrare pienamente nella preghiera. “Qualunque rappresentazione è un ostacolo”, egli dice. Questo potrebbe essere visto come una limitazione della preghiera, ma in effetti è un’espansione della vita. “La persona che pensa che Dio si può conoscere non ha davvero una vita, poiché è falsamente distratto dal vero Essere verso qualcosa di concepito dalla propria immaginazione.”
Eppure Gregorio non era un monaco eremita, ma un vescovo, un pastore e un maestro. Piuttosto che sminuire la vita sacramentale, la sua teologia mistica la rende vitale. In un sermone contro coloro che differiscono il battesimo, egli dice che il potere del cristianesimo è duplice: “rigenerazione per fede” e “partecipazione ai simboli mistici e ai riti”. Il battesimo è un’iniziazione verso una terra che porta frutti di felicità e l’Eucaristia è medicina di immortalità; essa fa una differenza fisica per coloro che la celebrano. Come si potrebbe esprimere in modo più amabile la centralità dell’esperienza contemplativa nella Chiesa o il significato della vita come liturgia mistica?
Laurence Freeman OSB