Apatheia e agape
La virtù del pentimento ci aiuta a renderci conto dei nostri sentimenti egocentrici e ci conduce all’umiltà, perché ci accorgiamo del bisogno che abbiamo di Dio e che senza Cristo non possiamo fare nulla. Il riconoscimento del nostro essere feriti, questa intuizione guaritrice, conduce ad un crescente senso di armonia e di equilibrio nella nostra vita emotiva. Inoltre, sentendoci amati nonostante i nostri errori, possiamo far crescere l’accettazione e l’amore nei confronti del nostro prossimo, poiché vediamo la nostra immagine riflessa negli altri esseri umani: “Un monaco è un uomo che considera se stesso un tutt’uno con gli altri uomini, perché appare costantemente come chi vede se stesso in ogni uomo.” (Evagrio – Capitoli sulla preghiera).
Evagrio definiva questo armonioso modo di vivere, verso cui tendiamo con l’aiuto della grazia, una combinazione di “apatheia” e di “agape”, integrazione emotiva e amore divino, strettamente connessi: “Agape è figlio di apatheia.”
Cassiano non usava questo termine “apatheia”, ma la chiamava “purezza di cuore”. Thomas Merton la definisce: “purezza di cuore…, una totale accettazione di noi stessi e della nostra situazione… distacco da qualunque illusoria immagine di noi stessi, da qualunque esagerata stima delle nostre capacità personali, con l’obiettivo di obbedire alla volontà di Dio nel momento in cui arriva a noi”.
I contemplativi sono spesso rimproverati per il fatto che i loro sforzi sono “egoistici”, perché si preoccupano soltanto della loro propria salvezza. Per Evagrio e i Padri e le Madri del Deserto, la preghiera era di importanza suprema; per loro era il significato stesso della vita. E tuttavia ascoltiamo la seguente storia: “Può succedere che mentre stiamo pregando, alcuni fratelli vengano a trovarci. Allora dobbiamo scegliere, o interrompiamo la preghiera oppure amareggiamo il nostro fratello rifiutando di accoglierlo. Ma l’amore è più grande della preghiera. La preghiera è una virtù fra le altre, mentre l’amore le contiene tutte.” (Giovanni Climaco, VII secolo).
Soltanto quando abbiamo messo in ordine la nostra casa, siamo in grado di provare una vera compassione per gli altri ed essere di aiuto: “Raggiungi la pace interiore e migliaia intorno a te troveranno la salvezza.” (San Serafino di Sarov). Siamo sollecitati a non dimenticare mai che davvero siamo uno in Cristo e che quello che succede al nostro prossimo è di estrema importanza per noi: “La vita e la morte dipendono dal nostro prossimo. Se conquistiamo il nostro fratello, conquistiamo Dio. Ma se scandalizziamo il nostro fratello, commettiamo un peccato nei confronti di Cristo.” (S. Antonio)
Il cammino spirituale ci aiuta a colmare la distanza tra noi e gli altri. Noi siamo il custode del nostro fratello. Ne risulterà che il mondo sarà un posto più ricco di pace; non per il nostro cambiare il mondo, ma cambiando il nostro atteggiamento, da una modalità in cui siamo interessati soltanto a noi stessi ad una in cui ci interessiamo degli altri, senza pensare ai nostri legami famigliari, origine, cultura o religione: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.” (Gandhi) E’ l’essenza dell’insegnamento di Gesù.
Kim Nataraja