Origene
Quando il padre di Origene fu martirizzato, sua madre gli impedì di seguire lo stesso destino, nascondendogli i vestiti. Una delle sue grandi opere è L’esortazione al martirio in cui considera questa testimonianza di fede come un segno di discepolato totale. Si avvicinò al raggiungimento del martirio durante la persecuzione di Decio, alla fine della sua vita (253 d.C.), quando fu arrestato e torturato. La Chiesa tuttavia è incommensurabilmente più ricca per il dono totale di se stesso che egli fece con la sua scrittura, invece che con il suo sangue.
Nato ad Alessandria nel 183 d.C. successe a Clemente, il suo maestro, come catechista per la comunità cristiana e, secondo Bernard McGinn (nel suo magistrale quarto volume A Presence of God: A History of Christian Mysticism), divenne “forse il più grande interprete delle Scritture che la Cristianità abbia mai conosciuto”. Il suo posto nella tradizione mistica è centrale, e afferma che la coscienza mistica non deve essere né vaga né scismatica. Una mente attiva grande e disciplinata può coesistere – come la luna al sole, come dice Origene – con la preghiera più profonda. La ragione e la fede sono sorelle proprio come Marta e Maria. Come Gregorio di Nissa e la maggior parte dei maestri di questa tradizione che stiamo studiando, non ha equiparato l’esperienza contemplativa con stati alterati, modi di parlare o apparizioni. Piuttosto, sottolinea la trasformazione nell’amore e i frutti dello spirito nella vita quotidiana. La sua integrazione di ciò che potremmo chiamare testa e cuore – ciò che i greci chiamavano “nous” (mente) – mette alla prova la nostra stessa comprensione di “esperienza”. Nel suo “Commentario su Giovanni” afferma che “il nous che è totalmente purificato e si eleva al di sopra della realtà materiale per assistere alla contemplazione di Dio con la massima attenzione, è divinizzato da ciò che contempla.” La sua produzione fu enorme – egli fece lavorare un gruppo permanente di sette scribi oltre a molti copisti ‘e ragazze abili nella calligrafia’ – e ha scritto commenti, versetto per versetto, su quasi tutti i libri della Bibbia. Ci sono pervenute quasi trecento delle sue centinaia di omelie.
Da bravo alessandrino ha apprezzato la filosofia, ma come cristiano ha respinto l’idea greca che la duplice contemplazione del cosmo e del microcosmo dell’essere umano fosse sufficiente per raggiungere la verità. Anche la rivelazione è necessaria; ciò avviene attraverso l’incarnazione del Logos e i significati mistici della Scrittura la rendono possibile. La sua metodologia era rigorosa, ma certo non sistematica come quella degli Scolastici. Prima stabilì il testo corretto e analizzò il significato di ogni parola. Poi si interrogò su ogni dettaglio – perché a Pietro furono lavati i piedi per ultimo? cosa simboleggiava la sporcizia dei piedi?; Maria e Giuseppe che cercavano il Gesù perduto in Luca simboleggiavano l’esegeta che cerca significati, i quarantadue accampamenti degli Israeliti nel deserto corrispondono allo stesso numero di generazioni degli antenati di Gesù. Questo metodo risulta inebriante alla lettura, e talvolta ha portato Origene in uno stato di unione quando veniva ‘visitato dalla Parola’. Sebbene Origene raramente parli della sua esperienza personale, Hans Urs von Balthasar dice di lui che “non c’è pensatore nella chiesa che sia così invisibilmente onnipresente” nel suo lavoro. Benedetto XVI ha affermato che per Origene “fare teologia era essenzialmente spiegare, comprendere le Scritture… la sua teologia è la perfetta simbiosi di teologia ed esegesi”.
Origene respinse l’esoterismo degli gnostici e definì i tre livelli dell’interpretazione scritturale, collegandoli agli stadi comuni della ‘ascesa’ spirituale personale. Non a caso, questo schema è simbolizzato biblicamente nei tre libri di Salomone. I proverbi portano al senso morale e illustrano la via purificativa. L’Ecclesiaste dà una conoscenza spirituale del mondo ed esprime la via illuminativa. Nel Cantico dei Cantici il più alto amore e desiderio di Dio insegna la via unitiva. Nel suo commento al Cantico Origene introduce la sua teoria dei sensi spirituali nel misticismo cristiano. Come i rabbini precedenti, pensava che questo poema erotico non dovesse essere letto dai giovani. (Ci sono tentazioni anche nella lettura delle Scritture). Ma fa proprio interamente l’eros e lo incorpora nella teologia con la sua lettura dei simboli sensuali del poema. “Mi baci con i baci della sua bocca” mostra la mente che riceve gli insegnamenti della parola. “I tuoi seni sono meglio del vino” gli suggeriscono il discepolo amato che riposa sul petto di Gesù – meglio del vino dell’Antico Testamento. I seni significano il “fondo del cuore in cui la Chiesa resta fedele a Cristo”. Come Platone, Origene vedeva l’amore erotico come una via di ascesa verso la realtà più alta, grazie ad una trasformazione del desiderio che avviene nella comunità della Chiesa. L’erotismo non è sempre sessuale perché possiamo desiderare con passione oggetti non sessuali. Ma Origene va oltre Platone, sostenendo che Dio stesso deve essere Eros se la parte erotica di noi ci guida verso Dio. ‘Non penso di poter essere incolpato se chiamo Dio, Eros, così come Giovanni chiama Dio, Agape’. Egli trae fino in fondo le conseguenze di questo simbolismo e giunge a conclusioni che sono in risonanza con Meister Eckhart o Madre Giuliana vissuti più di un millennio dopo. “Ogni anima”, dice, “è la madre di Gesù” perché questa unione appassionata di eros, “ferita d’amore”, conduce a un’esperienza di nascita.
A differenza di Clemente, Origene non era sposato e il suo mistico elogio della verginità disorienta molti che oggi vedono l’amore sessuale come spiritualmente significativo in quanto fisico, piuttosto che rammaricarsi che lo sia. Anche le tradizioni mistiche si evolvono. Ma non esiste un’autorità migliore da consultare di Origene, quando proviamo oggi – nel modo in cui lui ha formulato il lavoro spirituale – ‘a mettere ordine nell’amore’. Considerare tutto questo semplicemente come sublimazione freudiana sarebbe sottovalutare la sua intelligenza e l’uso della tradizione mistica dell’erotico. Per Erasmo, una pagina di Origene ne vale dieci di Agostino. Nella sua insistenza sul fatto che l’amore di Dio deve alla fine salvare tutti gli esseri, diavolo compreso, egli parla di un altro dei temi teologici del nostro tempo, la questione dell’inclusività.
Leggere le scritture per Origene è un’esperienza mistica, ma non esaurisce tutta la preghiera. Noi non preghiamo, dice con una definizione sempre valida, per ottenere benefici da Dio ma per diventare come Dio. Pregare in sé è buona cosa. Calma la mente, riduce il peccato e promuove buone azioni. In Sulla preghiera e nel suo commento al Padre Nostro, afferma che attraverso Gesù, “quel ministro di grazia insuperabile”, e attraverso lo Spirito Santo, l’essere umano può possedere la saggezza. Siamo gli amici del Maestro che condivide con noi tutta la conoscenza. Possediamo la mente di Cristo. Ma dobbiamo capire che la preghiera è più che chiedere cose banali. Dovremmo cercare la luce stessa piuttosto che le ombre mondane delle cose. La preghiera non è, egli sostiene, una vana ripetizione che intorpidisce la mente in temporanea quiescenza. Dovrebbe venire preparata staccandosi dalla rabbia e dall’agitazione e attraverso il perdono. Allora ‘la persona che compone la sua mente per la preghiera ne trae inevitabilmente vantaggio in qualche modo’. La preghiera combina in noi l’azione di tutte e tre le persone della Trinità. Tutta la nostra vita è una preghiera. Conclude il trattato con alcuni suggerimenti pratici relativi alla postura, al luogo e ai tempi, dimostrando che la preghiera per lui non era solo un’idea teologica. Il cristiano dovrebbe pregare non meno di tre volte al giorno, possibilmente rivolto verso est, fermo con le braccia distese (seduto, in ginocchio o sdraiato se necessario). Ogni luogo è adatto per la preghiera e in chiesa abbiamo concentrate le forze angeliche. Ma tutti dovrebbero avere un ‘luogo santo’ riservato nella loro casa, se possibile, per pregare in silenzio e senza distrazioni.
L’influenza di Origene è profonda. La sua autorità ha anche quell’umiltà ed apertura che di tanto in tanto si vedono nei grandi maestri di qualunque arte. Le sue interminabili associazioni di parole e significati sono difficilmente semplici, eppure egli non sembra mai perdere il contatto con una semplicità di base fondata sulla sua passione non solo per il testo, ma per la persona del Logos. Tutte le sue fatiche, disse, dovevano illustrare la più fondamentale di tutte le idee semplici su Dio: che l’inizio e la fine sono una sola cosa e ‘Dio è tutto in tutti’.
Laurence Freeman OSB
(foto di Enos Mantoani)