Lunedì della terza settimana di Quaresima. 4 marzo 2024
Le migliaia di persone che la scorsa settimana hanno osato andare al funerale di Alexei Navalny a Mosca hanno rischiato molto, non ultima la loro libertà fisica. Perché fare un gesto del genere? Nel compierlo hanno dichiarato di sapere la menzogna sotto cui lo Stato russo costringe a vivere i propri cittadini. Non esige che le persone credano alla menzogna, ma solo che neghino si tratti di una menzogna e si uniscano alla finzione che sia la verità. Far vivere le persone in questo modo – e la religione come la maggior parte delle istituzioni sociali, comprese le famiglie, hanno una lunga storia in merito – significa distruggere la loro anima in cambio di approvazione e sicurezza. Ma che senso ha ottenere tutto ciò che vogliamo al prezzo del nostro vero io?
Le persone in lutto hanno anche testimoniato, con coraggio in una società così satura di bugie, che solo “la verità vi renderà liberi” (Gv 8,31).
La verità scompare non appena iniziamo a pensarla come una risposta, una spiegazione o un dogma. La parola greca che indica la verità è “alethia”, che significa letteralmente “non essere nascosto” o “non segreto”. È interessante che sia espressa in questo modo apparentemente negativo (apofatico) invece di essere una definizione diretta. Ma la verità non è mai una cosa fissa, o almeno non lo è per molto tempo. L’esperienza della verità si verifica quando vediamo e sentiamo il costante superamento della falsità o dell’illusione. Potremmo dire che si rivela come la pura “essenza” delle cose – o delle persone – la loro autenticità e presenza reale.
Per questo motivo percepiamo la verità nell’essere di una persona così come in ciò che dice; la cogliamo più compiutamente, tuttavia, soprattutto in ciò che fa. Il teologo Dietrich Bonhoeffer combatté la menzogna nazista finché non si unì alla resistenza contro Hitler, pagando con la propria vita. Comprese in tal modo ciò che tutti noi impariamo dall’esperienza quotidiana, che la verità è sempre la cosa giusta da fare. È nell’azione, non solo nelle parole, che la verità si rivela.
È facendo la cosa giusta che ci eleviamo al di sopra delle paure e dei desideri della coscienza isolata ed egocentrica. Lo facciamo quando meditiamo, quando non sogniamo a occhi aperti:
Quindi tagliate la cinghia, il laccio e la fune. Aprite le porte del sonno e del risveglio (Dhammapada 26).
È così che la verità ci rende liberi e ci mostra che anche la libertà non è ciò che siamo abituati a credere. È la relazione tra due persone dentro la quale siamo liberi per l’altro. Bonhoeffer diceva: “Solo nella relazione con l’altro sono libero”. Questo è il motivo per cui la meditazione congiunge le persone nell’unità ed è lo stesso motivo per cui coloro che erano in lutto a Mosca venerdì scorso costituivano un segno della Russia che verrà, in attesa di essere liberata.
Navalny, come Bonhoeffer, ha mostrato un distacco supremo nel compiere il suo sacrificio. Il distacco – che è disciplina – è necessario per conoscere la verità che ci rende liberi. Al centro di questo mistero dell’essere c’è uno stato di non attaccamento, e persino di non azione. Ancora una volta, il Dhammapada lo descrive magnificamente:
Come un seme di senape sulla punta di un ago,
come una goccia d’acqua sulla foglia di un fiore di loto,
noi non ci aggrappiamo.